N.B.: Lâarticolo che segue Ăš stato redatto prima degli scontri inter-etnici recentemente esplosi nel Kirghizistan
ââIl Kirghizistan Ăš stato ed Ăš
un partner strategico della Russiaââ
Natalâja Timakova
Portavoce del Cremlinoi
(riprendendo le dichiarazioni ufficiali del presidente D. Medvedev)
Dopo lâUzbekistan e lâUcraina, Washington rischia di perdere un altro cardine fondamentale della sua strategia dâinfluenza nellâarea ex sovietica. Infatti, con la caduta allâinizio di aprile del regime kirghiso fino a quel momento filooccidentale â sebbene caratterizzato da un certo pragmatismo, che lâaveva portato a trattare la Russia con riguardo â gli Stati Uniti hanno perduto uno dei loro pezzi piĂč importanti sullo scacchiere eurasiatico. Anche se, a priori, questi ultimi non hanno avuto un atteggiamento neutrale in questo colpo di stato che invece, secondo alcune fonti locali, avrebbero piuttosto âincoraggiatoâ. Messa ancora una volta davanti al âfatto compiutoâ, Mosca ha dovuto riposizionare i suoi pezzi sul grande scacchiere per trarre il massimo dei vantaggi derivanti da questo cambiamento politico brutale e inatteso e, in questo modo, bloccare il suo arretramento nellâEurasia post-comunista. Ma soprattutto, Mosca vuole fare della crisi in Kirghizistan un potente simbolo della ripresa in mano del suo ex impero.
Sostanzialmente, questa crisi politica rappresenta per Mosca unâinnegabile opportunitĂ strategica per riposizionarsi in Asia centrale e, a termine, rilanciarvi la sua leadership regionaleii. Anche se questa crisi rimane, secondo le dichiarazioni ufficiali del primo ministro V. Putin, âun affare interno del Kirghizistanâiii. Ma in queste circostanze, per evitare il propagarsi di un incendio in una regione politicamente fragile e per preservare i propri interessi nazionali, la Russia ha bisogno di un potere âforteâ in Kirghizistan, come auspicava il 20 aprile 2010iv il presidente russo D. Medvedev. In altre parole, per evitare un caos geopolitico, la Russia Ăš costretta a riattivare la propria politica estera nelle regioni periferiche dellâex impero sovietico, con un orientamento piĂč paternalista verso le ex repubbliche satelliti. Da questo punto di vista, ci sembra legittimo tornare a parlare di questa evoluzione foriera di incertezze geopolitiche e, infine, di delinearne la reale portata. Implicitamente, questo porterĂ a incentrare la presente analisi su una domanda fondamentale: siamo di fronte a una svolta decisiva nellâevoluzione politica dellâex URSS? Questa svolta Ăš, per definizione, strettamente legata al futuro ruolo â e statuto â della Russia in seno a questâultima, divenuta lâ8 dicembre 1991, in seguito alla firma del Trattato di Minsk, la ComunitĂ degli Stati Indipendenti (CSI).
Il riflusso dellâonda liberale
La recente rivoluzione kirghisa â sanzionata dalla caduta del presidente Kurmanbek Bakievv â costituisce unâinversione di tendenza nellâarea ex sovietica, caratterizzata essenzialmente â in seguito al crollo dellâURSS nel dicembre del 1991 â dalla progressione geopolitica dellâinfluenza americana. Questa ârivoluzioneâ rientra infatti in un contesto piĂč ampio, caratterizzato dallâarretramento delle rivoluzioni âcolorateâ, di ispirazione liberale, che sono state insidiosamente incoraggiate dallâOccidente e che hanno interessato in successione la Georgia (2003), lâUcraina (2004) e il Kirghizistan (2005). Percepito da Washington come un avvertimento nei confronti della sua politica espansionistica incentrata sulla penetrazione in unâarea per molti anni interdetta, questo riflusso dellâonda liberale âcolorataâ sembra essere, in definitiva, la condizione che permetterĂ il riaffermarsi della leadership russa nellâEurasia postcomunista. Ma soprattutto rappresenta il fallimento della linea Brzezinski â concepita durante la Guerra fredda â volta alla destabilizzazione e alla compressione dellâautoritĂ russa allâinterno del suo spazio post sovietico, e giudicata nociva per il futuro della regione.
Essenzialmente, questa seconda rivoluzione kirghisa esplicita due elementi: da una parte, la radicalizzazione di una forma di instabilitĂ politica in Asia centrale e dallâaltra parte la prosecuzione della partita a scacchi tra russi e americani â mediata dalla Cina â nel cuore della regione eurasiatica. Infatti, lâAsia centrale â il cui potenziale energetico ne condiziona il carattere strategico â si trova al centro della lotta per lâinfluenza tra le due vecchie potenze della Guerra fredda, bramose di instaurarvi una forma stabile e legittima di dominazione, perseguendo obiettivi geopolitici fondamentalmente opposti. Dunque, una delle principali conseguenze dellâeliminazione di K.Bakiev Ăš in primo luogo lâindebolimento degli altri regimi autoritari dellâAsia centrale, che sono ancora ampiamente immersi nella cultura sovietica e che temono ormai un âcontagio rivoluzionarioâ estremamente pericoloso per il loro potere. In secondo luogo, la crisi kirghisa rischia di rimettere in causa alcune alleanze politiche locali che coinvolgono lâAmerica e che rientrano nellâoffensiva di questâultima in Eurasia. Da questo punto di vista, la crisi kirghisa avrĂ certamente un impatto sui rapporti di forza americano-russi costruiti nellâEurasia post comunista e che, a termine, dovranno integrare la minaccia cinese. In questo modo, questa crisi si presenta come una potenziale fonte di instabilitĂ .
Secondo questa tendenza, il presidente uzbeko Islam Karimov ha confermato il 20 aprile 2010 che la nuova situazione in Kirghizistan era âcontraria agli interessi dei paesi viciniâvi. Per evitare il contagio, questi ultimi potranno certamente cedere alla tentazione di intensificare la repressione delle derive estremiste, alternando a questa un rafforzamento della verticale del potere, con lo scopo finale di bloccare qualsiasi forma di espressione spontanea del popolo e dellâopposizione. Dal punto di vista russo, una delle prime prioritĂ sarĂ quella di stabilizzare il nuovo regime kirghiso, nella misura in cui questâultimo â quale membro di organizzazioni politico-militari come il CSTO e lâOCSvii â Ăš un catenaccio essenziale nella struttura della sicurezza in Asia centrale di cui Mosca appare, in ultima istanza, il garante supremo. Questa preoccupazione strategica Ăš stata ribadita, a grandi linee, dal viceministro russo degli Affari esteri, Grigorij Karasin, il 26 aprile 2010: âLa Russia contribuirĂ a instaurare (in Kirghizistan, ndr) un potere legittimo e duraturo. Un Kirghizistan sovrano e stabile Ăš una componente irrinunciabile per la sicurezza della regione centro-asiaticaâviii. A questo scopo, Mosca continuerĂ ad aiutare BiĆĄkek a piĂč livelli.
Rivoluzione e instabilitĂ eurasiatiche
Questo vero e proprio colpo di stato apre dunque un periodo di grande incertezza nella regione centroasiatica, oggetto di grande brama, e per un regime kirghiso che fino alla sua caduta ha praticato una politica con cui si Ăš destreggiato tra le potenze russa e americana, chiamata âpolitica multivettorialeâ. Nel complesso, tale politica pragmatica basata sul consenso e sulla cooperazione era volta allâavvicinamento alle grandi potenze, privilegiando nel contempo â in teoria â gli interessi nazionali del Kirghizistan, ma in realtĂ era al servizio di una Ă©lite politica benestante ripiegata sul proprio potere. Si trattava quindi di una politica estera realistica, che integrava i nuovi rapporti di forza in Eurasia â tra cui la nascita di nuove potenze â e per questo motivo obbligata a basarsi su una pluralitĂ di alleanze. Di piĂč, la strategia perseguita dal presidente Bakiev â estremamente diffidente nei confronti di V.Putin â mirava a evitare unâeccessiva dipendenza dal potente vicino russo e, in questo modo, a ridurre le capacitĂ di âpressioneâ di questâultimo sul regime kirghiso. Ma una parte del popolo kirghiso ancora fedele a Mosca non ha accettato questa progressiva separazione dal âfratello maggiore russoâ, il cui contributo durante il periodo sovietico â attraverso la ridistribuzione attuata dal piano â era stato particolarmente benefico. TantopiĂč che lâapproccio riformista che V. Bakiev ha adottato in ambito economico â che ha generato una lacerazione del tessuto sociale â ha in parte fallito.
Scaturita inizialmente da una rivolta popolare, insidiosamente manipolata da forze esterne, lâazione politica contro il regime nepotista di Bakiev sembra essere doppiamente giustificata dalla corruzione delle Ă©lite al potere e dallâemarginazione sociale di una parte del popolo kirghiso, privato dei benefici della crescita. Gli aiuti economici generosamente concessi dalla Russia sono stati vergognosamente sottratti e confiscati dalla nomenklatura al potere, per definizione interessata a mantenere lo status quo politico e, dunque, a mantenere la presidenza di Bakiev. Adesso questâultimo Ăš accusato del resto di essersi impadronito illegalmente di grosse somme di denaro, talora destinate alla cerchia dei suoi collaboratori piĂč strettiix (almeno 200 milioni di dollari trasferiti allâestero, proprio prima della sua cadutax). Questa situazione sociopolitica sfavorevole, aggravata dal rapido aumento delle disparitĂ e della povertĂ (il 40% della popolazione vive al disotto della soglia di povertĂ ), ha finito con il privare il Potere centrale del popolo, ma soprattutto ne ha delegittimato lâautoritĂ . La fragilitĂ dellâequilibrio socioeconomico Ăš inoltre accentuata dal fatto che il 45% del PIL kirghiso Ăš costituito dalle rimesse dei lavoratori espatriatixi, cosa che riflette lâestrema debolezza e dipendenza dellâeconomia kirghisa. In questo clima sociale degradato, lâeccessivo aumento dei prezzi delle materie prime Ăš stato un vero catalizzatore e, in definitiva, ha spinto il popolo a sollevarsi. Ă la legge del contrappasso.
In seguito alla rivoluzione âdei tulipaniâ del 2005, il Kirghizistan si Ăš sensibilmente avvicinato a Washington e ha adottato, in ambito economico, una politica (apparentemente) liberale volta a garantire la transizione verso lâeconomia di mercato per entrare, infine, nelle grazie finanziarie del suo nuovo âprotettoreâ. Ma, nel complesso, questa inclinazione liberale rientra in una strategia a lungo termine volta allâinserimento nellâeconomia mondiale. Il Kirghizistan, infatti, Ăš stato il primo Paese della CSI a essere ammesso nellâOMC nel 1998, in seguito alla privatizzazione totale (in parte indiretta) della sua economia tra il 1992 e il 1993; allo stesso tempo, Ăš divenuto il âpaese-pilotaâ per gli aiuti delle istituzioni economiche internazionali. In questo contesto, lâIniziativa HIPC xii â sotto la doppia spinta dellâFMI e della Banca mondiale, leva della governance liberale â ha contribuito, con il pretesto di ridurre il debito e la povertĂ , ad accelerare questo orientamento filo-occidentale attraverso lâimposizione di un modello liberale fondato sul risanamento, la competitivitĂ e lâapertura dellâeconomia kirghisa. E soprattutto questo orientamento Ăš in totale contrapposizione con la vecchia specializzazione della produzione imposta dalla divisione del lavoro socialista. Lontano per definizione dallâereditĂ russa costituitasi durante il periodo sovietico, questo modello economico mira dunque, implicitamente, a favorire lâemancipazione del Kirghizistan dalla dominazione â e dalla cultura â russa. Si tratta prevedibilmente di creare una nuova forma di dipendenza nei confronti della cultura liberale.
Manas e il tradimento di Bakiev
Questo avvicinamento con Washington ha automaticamente condotto il paese ad allontanarsi dalla potenza russa, considerevolmente indebolita a causa della transizione post-comunista e la cui autoritĂ nellâarea ex sovietica ha perso legittimitĂ , e dunque forza. Progressivamente â e con il âbenestareâ di alcune ONG occidentali politicamente ostili e inclini a manipolare lâopinione pubblica attraverso i mezzi di comunicazione â lâautoritĂ russa Ăš stata contestata sempre di piĂč e considerata, a termine, come una forza di ingerenza straniera e nefasta. In realtĂ , a partire dal 2001, quando la creazione della base militare di Manas venne giustificata con la politica della lotta al terrorismo scaturita dallâ â11 settembreâ, la potenza americana ha cercato di consolidare la propria presenza in Asia centrale, a scapito di Mosca. Da questo punto di vista, la âcrociataâ contro Al-Qaida e lâestremismo religioso Ăš stata strumentalizzata per fini politici, allo scopo finale di accelerare lâespansione militare americana. Tale presenza militare in Asia centrale sarebbe stata, in seguito, rafforzata attraverso la costruzione di unâaltra base in Uzbekistan (chiusa nel 2005, in seguito a una âdisputa politicaâ tra il presidente uzbeko Karimov e gli americani, dopo i sanguinosi avvenimenti di Andijan).
Mosca ha mal sopportato la presenza americana sul suo tradizionale spazio dâinfluenza, considerato un simbolo esclusivo del proprio passato (sovietico) da âgrande potenzaâ. Mosca considera una tale presenza come una messa in discussione delle proprie prerogative storiche e del proprio âdiritto di controlloâ su una terra considerata di suo monopolio geopolitico. Di conseguenza, Mosca percepisce la provocante avanzata americana â assieme a quella della Nato â come lâespressione concreta della sua emarginazione politica nel panorama eurasiatico. TantopiĂč che per iniziativa di G.W. Bush, lâimperialismo politico-militare della potenza americana ha ripreso un certo vigore, considerandosi il braccio armato della giustizia internazionale. E cosĂŹ, malgrado un atteggiamento inizialmente âcomprensivoâ nei confronti della lotta al terrorismo, in seguito Mosca si Ăš adoperata per convincere Bakiev a chiudere la base americana di Manas, con la promessa di âagevolazioniâ economichexiii. Questo perchĂ©, al di lĂ della forte valenza politica, la base di Manas â in concorrenza con la base russa di Kant â Ăš la concretizzazione della lotta tra russi e americani per il predominio in Asia centrale. Ma soprattutto, la chiusura di Manas permetterebbe a Mosca da una parte di eliminare un avamposto fondamentale per la progressione americana in una zona nevralgica, e dallâaltra parte di controllare le vie di transito settentrionali per lâAfghanistan usate dalla Nato, che Mosca desidererebbe far passare esclusivamente â dietro compenso â sul proprio territorio. Oggettivamente, la chiusura di Manas avrebbe fatto di Mosca un partner irrinunciabile che, in questo modo, avrebbe ottenuto un innegabile strumento di pressione â e dâinfluenza â sulla politica americana nellâarea ex sovietica. Nel marzo del 2009, con grande sollievo di Mosca, il presidente Bakiev decide di espellere gli americani dalla base. In quel momento, Mosca spera di dare il via al riflusso della potenza americana in Asia centrale. Speranza vana.
Da un punto di vista strutturale, il presidente Bakiev ha sfruttato rapporti di forza provvisoriamente favorevoli nei suoi confronti e soprattutto la gara al rilancio tra lo Stato russo e quello americano, in competizione per ampliare il proprio spazio politico. In effetti, Bakiev ha agito sui due fronti: dapprima ha cercato di âconvertire in denaroâ la presenza americana attraverso la revisione del canone di affitto annuale della base â ormai 60 milioni di dollari, triplicati nel 2009 â e la concessione di diversi aiuti economico-finanziari; poi si Ăš sforzato di trarre tutti i vantaggi possibili da una Russia che temeva di perdere lâalleato kirghiso e, attraverso questâultimo, una base militare che le avrebbe permesso di rimanere attiva â e quindi credibile â in Asia centrale e di esercitarvi una sorta di sorveglianza di sicurezza. In totale, il potere kirghiso avrebbe ricevuto nel marzo del 2009 â a seguito della promessa di chiudere la base â circa due miliardi di dollari dal âprotettoreâ russoxiv. Questa fruttuosa âcollaborazioneâ pluridimensionale con gli Stati russo e americano ha portato, in definitiva, a un piĂč rapido sviluppo delle infrastrutture strategiche nella regione, ma allo stesso tempo allâarricchimento del âclan Bakievâ. CosĂŹ, dopo aver ottimizzato i profitti economici e geopolitici grazie alla sua politica multivettoriale â predatoria, nella realtĂ dei fatti â Bakiev ha fatto un brusco voltafaccia. In seguito ad aspre discussioni con lâalleato americano, Bakiev ha infatti rinunciato alla chiusura della base di Manas, per trasformarla il 23 giugno 2009 in âcentro di transitoâ verso lâAfghanistan, in previsione (ufficialmente) di fornirvi appoggio alle operazioni della Forza di intervento internazionale ISAF. Una nuova denominazione âpoliticamente correttaâ â ma del tutto ipocrita â per placare la giusta collera di Mosca. Ennesima e inutile provocazione.
La fuga del presidente
Lâorgogliosa Russia, di ritorno sul grande scacchiere eurasiatico, ha considerato tale decisione un vero e proprio tradimento e per questo motivo non ha fatto nulla per bloccare il colpo di stato, di certo fomentato piĂč o meno indirettamente dallâestero. Questo spiega â e giustifica â lâ âabbandonoâ politico di Bakiev, costretto a fuggire dal Kirghizistan il 16 aprile 2010, a seguito della pressione popolare. GiacchĂ© non Ăš possibile giocare impunemente con la fiducia â e i rubli â dello stato russo, ormai incline a farsi rispettare nellâEstero prossimo, storica terra di dominazione. Punizione implacabile.
(Traduzione a cura di Silvia Zirone)
* Jean GĂ©ronimo Ăš dottore di ricerca in Economia, specialista dellâURSS e delle questioni russe (UniversitĂ© Pierre MendĂšs France, Grenoble)
i http://fr.rian.ru/ex_urss/20100408/186419560.html ââKirghizstan : le peuple mĂ©contentĂ© par le pouvoirââ, Kremlin, 8/04/2010.
ii Da questo punto di vista, bisogna riconoscere che (anche) Mosca aveva un interesse oggettivo alla riuscita del colpo di stato contro K. Bakiev. Ma lâautore â e solo secondo lâautore â ritiene che Mosca non abbia provocato il colpo di stato e che in definitiva non abbia fatto altro che approfittare di questa opportunitĂ politica.
iii http://fr.rian.ru/ex_urss/20100407/186416613.html : ââPoutine appelle pouvoir et opposition Ă la retenueââ, 7/04/2010
iv http://fr.rian.ru//ex_urss/20100420/186506273.html : ââLa Russie veut un Kirghizstan stable et prospĂšreââ, D. Medvedev, 20/04/2010.
v Lâopposizione kirghisa ha sciolto il parlamento e il governo prima di formare un governo provvisorio il 7 aprile 2010, in seguito ai disordini che hanno provocato oltre 80 morti e circa 1500 feriti a BiĆĄkek e in altre zone del paese. Il presidente Bakiev, giunto al potere nel 2005 grazie a un colpo di stato definito « la rivoluzione dei tulipani », ha lasciato il paese il 16 aprile.
vi http://fr.rian.ru//ex_urss/20100420/186510537.html : ââLa situation au Kirghizstan contraire aux intĂ©rĂȘts des pays voisinsââ, I. Karimov, 20/04/2010
vii Si ricorda : CSTO (Collective Security Treaty Organization) e OCS (Organizzazione della Cooperazione di Shangai).
viii http://fr.rian.ru//ex_urss/20100426/186551753.html : ââLe Kirghizstan reçoit 20 M USD dâaide russeââ, 26/04/2010.
ix Il 28 aprile 2010, la Procura generale del Kirghizistan ha stimato a oltre 44 milioni di dollari i fondi sottratti nellâambito di attivitĂ economiche illecite condotte dallâentourage dei Bakiev. Dâaltronde, sono state intentate 23 azioni giudiziarie contro i collaboratori piĂč stretti di Bakiev, con lâaccusa di corruzione e riciclaggio di denaro sporco, oltre che di privatizzazioni illecite : Fonti : http://fr.rian.ru//ex_urss/20100428/186572396.html : ââKirghizstan: 44 M USD dĂ©tournĂ©s par lâentourage des Bakievââ, Parquet gĂ©nĂ©ral kirghiz, 28/04/2010.
x http://fr.rian.ru//ex_urss/20100417/186490132.html : ââKirghizstan: 200 M USD volĂ©s par la famille du prĂ©sident dĂ©chuââ, Gouvernement provisoire, 17/04/2010.
xi http://fr.rian.ru/discussion/20100421/186476417.html : ââUn coup dâEtat trĂšs ordinaireââ, H. Natowicz, RIA Novosti, 21/04/2010.
xii Per impulso della governance liberale informale (FMI e Banca Mondiale), lâIniziativa HIPC (Heavily Indebted Poor Countries) ha il nobile scopo di favorire lo sdebitamento dei paesi poveri, la cui entitĂ del debito sarebbe economicamente insostenibile. Essenzialmente, lâIniziativa cerca di legare gli aiuti economici concessi per ridurre il debito a un programma preciso, incentrato su misure liberali volte alla riforma delle strutture produttive e a un efficace inserimento nel sistema economico mondiale. Si tratta, evidentemente, di creare le condizioni strutturali per la produzione endogena di un surplus macro-economico destinato a rafforzare le capacitĂ dâinvestimento e soprattutto a rimborsare il debito. Si puĂČ dunque evidenziare lâaspetto condizionale dellâaiuto, destinato implicitamente a imporre i parametri del modello liberale e, attraverso questo, a rafforzare le strutture dellâeconomia di mercato. In definitiva, lâIniziativa mira a ridurre il peso dei valori russi â retaggio del periodo sovietico â nella vita sociale ed economica , erodendo in questo modo la storica influenza di Mosca in Asia centrale.
xiii Mosca ha allora promesso a BiĆĄkek un aiuto disinteressato di 150 milioni di dollari, un prestito di 300 milioni di dollari a tasso preferenziale e la cancellazione di 180 milioni di dollari dal debito estero kirghiso.
xiv http://fr.rian.ru/discussion/20100517/186705684.html : ââLa Russie de retour en ex-URSSââ, Hugo Natowicz, RIA Novosti, 17/05/2010.













